giovedì 12 luglio 2012

C'era una volta il lavoro (4)



L’incubo dei cosiddetti “esodati”, lavoratrici e lavoratori a cui è precluso il godimento dei diritti maturati in decenni di lavoro per via di una grave lacuna legislativa ormai riconosciuta anche dallo stesso governo italiano (e dire che dovrebbero essere tecnici e professori) è soltanto l’ultima tappa di un’involuzione che di volta in volta ha visto protagonisti giovani, precari, disoccupati. A Lodi e provincia, un distretto manifatturiero colpito in modo feroce dalla crisi, il locale comitato degli “esodati” non si è perso d’animo e con lo slogan “dalla rabbia, alle idee fino al sorriso” si è inventato un’intera giornata chiamata C’era una volta il lavoro con testimonianze, teatro, mostre, cinema (con la presentazione del cofanetto di quattro film Vivere e morire lavoro di Daniele Segre, Feltrinelli Real Cinema) e otto ore lavorative di musica. Un modo intelligente e anche divertente (che non guasta, in fondo) di interpretare la rappresentanza e la protesta. La giornata è stata aperta da un ensemble di recente costituzione, ma di notevole esperienza, la Corte del re Sole che ha snocciolato ballate scozzesi, irlandesi e francesi con grande gusto e una trascinante forza strumentale. Se volete fare una festa in campagna o un party a base di traditional, chiamateli (www.lacortedelresole.com). Gran finale, con la piazza di Lodi gremita, con i Bujaka, una comitiva reggae che ha fatto ballare e saltare tutti fino a mezzanotte, quando si è levato il coro Get Up, Stand Up di Bob Marley (quanto mai appropriata, vista l’occasione). Tra la Corte del re Sole e i Bujaka, ha suonato Evasio Muraro che ha seguito fin dalle primissime ore il dramma degli “esodati”. Oltre a concedere l’utilizzo di La fabbrica in silenzio (una delle Canzoni di uomini di latta) per un videoclip di presentazione del comitato (lo si trova in rete), Evasio ha trovato modo di suonare anche nella conferenza stampa, in versione unplugged. Ma per il concerto si è presentato in una veste tutta inedita, dalle canzoni (che confluiranno nel nuovo disco, previsto per l’anno prossimo) al gruppo, duro ed elettrico. Una svolta radicale: sostenuto da una sezione ritmica rocciosa, da una chitarra acida, dal genialoide sassofono baritono di Lorenzo Rota e dalle voci, ha sfoderato per Contiene il cielo, Giorni, Infinito viaggio, Puzzo di fame, Venti volte e Scontro tempo, un suono sporco, grezzo, deciso e sfrontato i cui parenti prossimi sono i Los Lobos di Colossal Head. Richiamato sul palco, ha concluso con la “sua” idea del Disertore di Boris Vian (e non sarebbe male risparmiare qualcosina dagli armamenti per pagare sussidi e pensioni) e infine con O cara moglie di Ivan Della Mea. Un’idea molto “utile” di musica e un modello, quello di C’era una volta il lavoro da esportare senza esitazioni: con il secolo in corso, le piazze vanno “occupate” così. (Alessandra Longo sul Buscadero numero 347, luglio/agosto 2012; la fotografia è di Fabrizio Del Fiacco)




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