Mi
chiamo Fabrizio Bassi, ho 52 anni e abito a San Rocco al Porto (Lo). Ho
lavorato per 36 anni e ora il mio impiego a tempo pieno è quello di “esodato”.
Dal 2 gennaio 1990 all’8 maggio 2011 sono stato dipendente dell’Unilever Italia
come operaio turnista. Nell’anno 2009 l’azienda è stata interessata da un piano
di ristrutturazione che comprendeva la chiusura definitiva del reparto polveri
e il conseguente esubero di 197 dipendenti. Venne quindi avviata la procedura
di messa in cassa integrazione e mobilità dei suddetti dipendenti. La procedura
durava 2 anni, quindi si concludeva l’8 maggio del 2011. Nel settembre 2010,
rientrto in forza lavoro dopo un periodo di malattia, non potendo più fare
certi tipi di lavori e mancandomi quattro anni per arrivare ai quaranta
richiesti per il pensionamento, chiesi al direttore del personale, vista la mia
situazione di salute, se era possibile, approfittando degli ammortizzatori
sociali, lasciare anticipatamente il lavoro in modo da lasciare la possibilità
di rientrare a un altro lavoratore che era finito nella morsa della
ristrutturazione e come era stabilito negli accordi sindacali presi dalle
parti. La mia richiesta fu accettata dopo qualche mese e io, felice come una
Pasqua, firmai l’accordo. Ora invece con la nuova riforma mi ritrovo, per avere
la pensione, un mio diritto, a dover sborsare oltre 40.000 euro per gli anni
che mi hanno appioppato in più, e poi alla fine avrò comunque la pensione
decurtata del 5% circa perché non ho i 62 anni di età. L’alternativa è la pensione
“di vecchiaia” nel 2021 vivendo nel frattempo di aria perché di soldi non ce ne
sono. Questa è la mia breve storia.
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